La musica come mezzo per esplorare e combattere il razzismo fuori e dentro di noi. 2 ore di musica e 3 brani da scoprire nel nostro approfondimento.
The Sound of Diversity è una playlist su Spotify, lanciata dalla Cooperativa Il Sestante durante la Settimana d’Azione contro il razzismo promossa da UNAR.
Sui social gli utenti hanno risposto all’invito a collaborare nella creazione di una playlist di brani ispirati alla storia e ai valori dell’antirazzismo. Ne è venuto fuori un bel mix di generi e stili differenti, circa 2 ore di musica da ascoltare e fare conoscere.
La playlist può essere utilizzata anche come spunto per attività educative: i testi (in lingue diverse) possono essere discussi insieme, per approfondire storie e emozioni dei loro autori. I brani suggeriti appartengono a momenti storici diversi, e mettono in luce livelli molteplici: dalla reazione personale all’impatto sociale delle nostre scelte nella lotta alla discriminazione.
Voci di speranza e di rabbia, che parlano e stanno ad ascoltare: da Tracy Chapman a Niccolò Fabi, da Solange Knowles ad Amadou & Mariam.
Ascolta tutti i brani e gli artisti della playlist
A 3 brani suggeriti nella playlist abbiamo dedicato un approfondimento. Sono canzoni con una storia da conoscere, aggiungono tasselli importanti e pietre d’inciampo al nostro percorso. Buona lettura.
“Strange Fruit” – Billie Holiday
Una coincidenza che raccontiamo subito: la registrazione di questo brano avvenne il 21 Marzo del 1939 a New York. La giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, istituita dalle Nazioni Unite nel 1966, si osserva ogni anno nella stessa data, il 21 marzo; Si celebra in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960, la giornata più sanguinosa dell’apartheid in Sudafrica: 300 poliziotti bianchi uccisero 69 manifestanti che protestavano contro l’Urban Areas Act che imponeva ai sudafricani neri di esibire uno speciale permesso se venivano fermati nelle aree riservate ai bianchi.
«Gli alberi del sud danno uno strano frutto,
sangue sulle foglie e sangue sulle radici,
un corpo nero dondola nella brezza del sud,
strano frutto appeso agli alberi di pioppo.»
Testo e melodia sono di Abel Meeropol, insegnante ebreo russo, vicino alle posizioni della sinistra americana di fine anni’30. Meerpol scrisse la poesia “Bitter fruit” dopo aver visto la fotografia di linciaggio avvenuto in uno stato del sud. Un corpo impiccato nell’indifferenza generale della platea festosa, come fosse ad una fiera. L’impatto di quell’immagine su di lui fu notevole. L’insegnante, scosso, scrisse questa potente e tremenda metafora del corpo nero, come frutto appeso agli alberi di pioppo.
Meerpol non trovò nessuno disposto a musicarla e ne compose lui stesso la melodia. Venne eseguita durante una riunione del sindacato degli insegnanti, e divenne conosciuta negli ambienti di sinistra come forte e esplicita denuncia delle impiccagioni e torture subite dai neri nel sud. La ascoltò il proprietario del Cafè Society, il primo locale a New York ad aver abolito la segregazione razziale, e decise di presentare Abel Meerpol a Billie Holiday.
La Holiday era già un’artista jazz affermata e apprezzata dalla clientela bianca del Cafè Society. Sulla sua pelle aveva sperimentato il razzismo e la discriminazione, e decise di interpretare Strange Fruit a suo modo, aggiungendo un’intensità insuperata da successive interpretazioni di altri artisti.
Nel suo repertorio il brano veniva interpretato sempre al termine dello spettacolo: non era semplice integrarlo alle scalette da club, e desiderava concludere il dialogo con il pubblico nell’eco di quella poesia. Non tutte le platee accolsero la sua performance: in Alabama (e in altri stati del sud non riprovò) fu cacciata dal teatro per aver provato ad eseguirla.
Strange Fruit ha avuto, per il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, la stessa importanza della celebre azione di Rosa Parks. Osteggiata nei primi anni come “propaganda”, nel corso del tempo venne percepita come una domanda di rispetto e giustizia.
La rivista Time, che nel 1939 aveva bollato Strange Fruit come “propaganda in musica”, 60 anni dopo la elesse “Canzone del XX secolo“. Questo documentario che vi consigliamo (purtroppo senza sub ITA) è stato girato in occasione del 75esimo anniversario dalla registrazione:
“Gimme Hope Jo’Anna” – Eddy Grant
In Italia è conosciuta come un’allegra canzoncina balneare. Nell’estate del 1988 infatti Gimme Hope Jo’anna di Eddy Grant raggiunse le vette delle classisiche internazionali, e in molti pensarono si trattasse di un brano romantico.
Ma il cantante guyanese non scrisse di una bella ragazza chiamata Joanna: Il testo del brano è un attacco esplicito al regime sudafricano dell’apartheid; “Jo’anna” è Johannesburg, rappresentata anche nella copertina del singolo (una cartina della regione del Gauteng con Johannesburg al centro, e un volantino anti-segregazionista). Nel testo viene anche citata la township nera di Soweto, roccaforte della protesta e al centro di violenti scontri fra la polizia e la popolazione.
Eddy Grant, musicista reggae pop, aveva prodotto anche in passato brani di denuncia: Black skinned blue eyed boys, Electric avenue, Preaching genocide, Living on the Frontline. Per alcuni anni la censura sudafricana impedì l’ascolto e la trasmissione di questi brani. Ascoltando oggi il tono festoso di Gimme Hope Jo’anna sembra che anticipi la gioia per la liberazione di Nelson Mandela (che avvenne un paio di anni dopo).
Questa versione live è stata suonata da Eddy Grant durante il Nelson Mandela Concert, mega-concerto tributo di 11 ore che ha avuto luogo l’11 giugno 1988 al Wembley Stadium di Londra, organizzato per chiedere la scarcerazione di Nelson Mandela nel giorno del suo 70esimo compleanno.
“I can’t breathe” – H.E.R.
Con questo brano torniamo al 2021: il 14 marzo sono stati attribuiti i Grammy Awards e il premio per il miglior album dell’anno è stato attribuito a I can’t breathe di H.E.R.
Gabriella Wilson, in arte H.E.R., è una cantautrice statunitense nata nel 1997. Il suo stile combina elementi di rhythm and blues, pop, soul, funk e hip hop, e nella sua carriera ha venduto in America oltre 8 milioni di dischi.
A giugno del 2020 pubblica il brano I Can’t Breathe: una canzone di protesta sulla brutalità della polizia, la morte di George Floyd e le contestazioni del movimento Black Lives Matter. Il titolo infatti riporta la frase che Floyd pronunciò pochi minuti prima di morire: «I can’t breathe» .
Il videoclip mostra scene riprese per le strade delle città statunitensi in bianco e nero, che documentano le proteste scatenate dall’omicidio di George Floyd. Queste immagini vengono alternate da scene animate che raffigurano alcune vittime della polizia e i loro nomi. Il video si conclude con le frasi: «We can’t breathe.», «Silence is violence.», «Black Lives Matter».
H.E.R. descrive in modo magistrale il dolore di chi vive da oppresso in un contesto di razzismo sistemico. Lei stessa dichiara:
"Stiamo soffocando come popolo. Ogni giorno, c’è la paura di essere uccisi o uccisi o accusati di qualcosa che non abbiamo fatto. La libertà non è vivere nella paura, e le persone di colore devono convivere con quella paura."
“H.E.R. ha l’obiettivo di usare la musica per aiutare le persone a riflettere su alcuni temi, come l’ingiustizia sociale, e aiutarle a cambiare in maniera positiva quei pensieri che nascono negativi e si trasformano in odio verso il prossimo. I suoi esempi sono Marvin Gaye e Nina Simone.
HER mette a disposizione del movimento Black Lives Matter, la sua creatività e le sue emozioni. La cantante attivista si pone come un’insegnate di musica, che non ha la pretesa di vedere i suoi allievi imparare scale e solfeggi, ma vuole che la musica e i testi entrino nella testa come mantra per diventare migliori e migliorare la società.”
[Fonte: “I CAN’T BREATHE”, HER CANTA IN NOME DELLA GIUSTIZIA]